Scrittura Terapeutica: A tu per tu con la fondatrice del Metodo

Intervista a Sonia Scarpante, Vegolosi Maggio 2022

La sua avventura con la scrittura terapeutica inizia nel 1998, dopo aver affrontato la malattia oncologica e una forte crisi matrimoniale, come racconta nel primo libro autobiografico “Lettere a un interlocutore reale. Il mio senso”. Chi è stato il primo destinatario di una sua lettera e perché?

Il primo destinatario è stato un senologo con cui si era interrotto un dialogo. La malattia aveva posto nuovi interrogativi e bisogni nella mia vita, tra cui quello di essere più coerente e autentica: imparare a sciogliere i non detti, i nodi, attraverso la parola, ha reso la scrittura lo strumento ottimale per avvicinarsi all’altro. Non ho mai consegnato la prima lettera; l’ho però pubblicata, e il rapporto col medico, pur non sapendo se lui l’abbia letta, è cambiato in positivo. Scriverla ha aiutato innanzitutto me a riappacificarmi con quella figura e con me stessa: ho seguito un mio desiderio, inteso come spinta vitale, nell’accezione lacaniana ripresa da Recalcati. Quel desiderio è la nostra vocazione di vita, che nel mio caso è la scrittura che guarisce.

Quali sono stati i passi successivi del suo percorso?

La prima lettera è stata uno spunto di riflessione da cui partire, scriverla mi ha lasciato un senso di leggerezza e benessere. In seguito, la scrittura mi ha guidata in un percorso di lettere alle persone che hanno segnato la mia vita, portandomi a sbrogliare la matassa di nodi che non ero riuscita a superare e a sentirmi meglio con gli altri.

Cosa le ha fatto pensare che il suo personale modo di vincere le criticità emotive attraverso la scrittura epistolare avrebbe potuto aiutare molte persone?

Sono stati i primissimi testimoni che hanno letto la prima raccolta di lettere autobiografiche a spingermi a farlo, perché si sono rivisti nei miei scritti, nella mia storia. Ciò ha generato molte richieste da parte dei singoli per cominciare un lavoro a quattro mani scegliendo me come coach. In seguito ho guidato dei gruppi presso la Fondazione Giancarlo Quarta, onlus che si occupa di cura, e da lì ho ricevuto sempre più proposte fino a incontrare l’interesse per dei veri e propri master formativi che tuttora tengo a specialisti del settore e interessati.

Può essere pericoloso scavare in quei traumi che abbiamo rimosso anche per “tutelarci”?

Tutti hanno bisogno di entrare nella propria memoria, nelle proprie fatiche, e di discernere ciò che ci fa star bene da quel che ci fa star male; partendo dall’emozione, trovando nell’altro spunti di riflessione che fanno crescere. La scrittura, poi, non va oltre a un determinato limite, arriva dove la persona vuole arrivare. È come se la scrittura stessa dettasse i tempi e i modi di elaborazione.

Quali sono le tematiche più spinose da affrontare?

Gli insoluti, i sensi di colpa, ma questo percorso ci fa capire quanto la persona abbia bisogno di affrontarli per non vivere intrappolata dentro quei nodi. È importante fare i conti con se stessi, perché ci si lascia alle spalle quella fatica e quella sofferenza, nel momento stesso in cui riusciamo a visualizzarle su carta.

Uomini e donne si aprono a questo percorso nella stessa maniera?

L’uomo fa più fatica a parlare di sé, delle proprie fatiche, fugge più facilmente rispetto alla donna, che per natura è più predisposta a parlare di cura e relazione. Anche nei corsi e nei master è solo ultimamente che vediamo crescere la partecipazione maschile. Il femminile ha una grande forza, è uno strumento potente per approfondire l’interiorità, la conoscenza reciproca, per migliorare le relazioni in ogni campo. Siamo tutti fatti di una componente maschile e di una femminile, e il vero cambiamento avviene solo quando il maschile si apre al femminile e ritrova quella parte dentro sé, esplorando e riconoscendo le proprie emozioni, dando loro valore.

Qual è il “trucco”, per chi mai si è approcciato alla scrittura epistolare autobiografica e vorrebbe cominciare a farlo?

Siamo depositari di un altro mondo che, tramite la scrittura, possiamo andare a scoprire. Un mondo che rappresenta una vastità, alimenta la conoscenza di noi stessi e degli altri. Il vero trucco, quindi, è avere fiducia in noi stessi, nelle nostre possibilità, e non avere paura dell’ignoto, anzi imparare ad abbracciarlo, perché svela delle parti sostanziali di no

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