In quella solitudine ha trovato il suo Dio

Ho letto giorni fa  un articolo scritto da Umberto Galimberti su “ la Stampa”  dal titolo: “ In quella solitudine ha trovato il suo dio”, dove il filosofo fa riferimento a Silvia Romano, la cooperante liberata dopo 18 mesi di prigionia,  sottolineando nel suo intervento l’importanza del dubbio,  il significato di non concedere mai il beneficio del dubbio ogni volta incontriamo sulla nostra strada la testimonianza dell’altro.

Umberto Galimberti scrive: “ Forse Silvia si è convertita, forse per necessità, forse per sopravvivenza nel tempo della prigionia, forse per intima convinzione”…e poi prosegue “ E allora perché la conversione? Non lo sappiamo. E non dobbiamo neppure indagare, per non violare quel segreto che ciascuno di noi custodisce nel profondo della propria anima, quale è appunto la nostra dimensione religiosa. Una dimensione così personale, così propria, così difficile da comunicare, perché quando si ha a che fare con sensi e significati che oltrepassano la nostra esperienza condivisa, ogni discorso, nel momento in cui si offre alla chiacchiera comune, rischia il fraintendimento”.

Ho riportato molto del suo articolo che andrebbe letto con accuratezza e acume imprigionando dentro noi quelle sue parole per farle diventare sempre più nostre, perché le parole di Galimberti  ci invitano a non giudicare mai l’esperienza dell’altro, ad aver rispetto sempre e comunque della sua testimonianza,  avulsa da pregiudizi e  cercando di occultare risposte nostre che non possono mai trovare incontrare effettiva corrispondenza nel vissuto di un altro. L’esperienza è sempre individuale e mai interpretabile  a fondo ma può solo essere accolta nei limiti del possibile.  Quante volte  nella vita ci è accaduto e ci capita di intravedere risposte certe  anche per il rapporto che nutriamo verso noi stessi  e capire poi , in seconda istanza, che la vita ci riserva comunque sorprese , realtà anche inimmaginabili? Quante volte nella vita diamo un giudizio asserendo una nostra verità che poi palesemente viene confutata quando siamo messi a vivere la stessa circostanza e nella medesima prova rimaniamo come  annichiliti perché devastati da una sofferenza acuta che non  prospettavamo di così vasta entità? La vita ci cambia anche quando non lo vorremmo. Credo che per molti di noi a volte la realtà che ci viene incontro  , il vissuto oltre l’immaginabile, le nostre precostituite categorie mentali, il nostro “ buon senso” , non regga al pari della vastità della vita, dove nulla è certo, dove assaggiamo continuamente l’imponderabile dell’esistenza.  

Questa reciprocità fatta dall’incontro con l’altro e dal nostro colloquio ( Holderlin) , ancora oggi carente per investimento etico, va riconquistata, sensibilizzata per produrre senso civico, etica propedeutica  nella ricerca di un nuovo Umanesimo che può aiutarci a traghettare verso nuovi mondi appaganti. E la politica, come investimento  culturale sul concetto antico della  polis, oggi sembra rinunciare al suo  riscatto sociale viste le innumerevoli diatribe quotidiane a cui assistiamo e di così poco spessore individuale.

Proprio in questo periodo dove la “ nostra verità “ tende sovente a primeggiare, le realtà vengono sconvolte da nuovi scenari mondiali legate all’ ineluttabilità del virus;  oggi più che mai  viene richiesta questa lucidità personale di apertura al possibile, allo sconosciuto come segno di occasione evolutiva  e perturbabilità da valorizzare, possibilità di apertura allo “ Sconosciuto”  come confronto arricchente. Ma quanto ancora siamo sconosciuti a noi stessi?

Il filosofo aggiunge: “ E quando non siamo noi, come nel caso di Silvia in prigionia, a decidere della nostra vita, può accadere che si tocchi con mano quello che Freud, ateo, già constatava quando diceva che “ il nostro io non è padrone in casa propria”.

Credo che l’esperienza di questa donna ci induca a spingerci oltre i nostri perenni steccati, i nostri millenari pregiudizi da cui facciamo sempre molta fatica a distanziarci senza arrivare a pensare che così ci precludiamo ottime possibilità di conoscenza del sé, di approfondimento interiore di “ un’ulteriorità di significato rispetto a quello predisposto dall’ipertrofia del nostro io “ ( Umberto Galimberti) .

Vorrei che questo dire del nostro illuminato filosofo fosse un invito rivolto a tutti noi, un invito a non adagiare nel nulla la nostra coscienza, a non disperdere mai il buono di noi per traghettare, insieme, verso lidi di speranza. Solo con la costruzione di un continuo colloquio retto da stima reciproca possiamo fondare un nuovo Umanesimo che sia segno di virtù morale e comunitaria.

Sonia Scarpante Presidente Associazione “ La cura di sé”

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