Il Commento di Andrea Mandis psicologo.
Quando si va incontro a una nuova esperienza, di solito, non si comprende del tutto che cosa concerne questo incontro. È il caso degli eventi che stagliano la nostra vita, ed è anche il caso della testimonianza del lavoro nella scrittura terapeutica. Avere a che fare con questa pratica sicuramente mette a dura prova, perché produce alcune domande che precedentemente non si erano potute costituire. E in questo senso la scrittura la si può considerare sia un mezzo che un fine: è un mezzo che traghetta verso una destinazione, ma è anche quella stessa destinazione che ci permette di osservare un po’ più profondamente chi pensiamo di essere, cosa stiamo facendo, e permette di chiederci anche che cosa ne sarà del nostro futuro… ma non solo.
Quando si scrive si è posti di fronte ad una certa libertà, e questa riguarda quello spazio e quel tempo – in un certo senso – sospeso in cui poter concedersi un momento per riportare ciò che si reputa importante. Il viaggio venutosi a creare quando si scrive può portare a scoprire e riscoprire alcune parti del proprio Sé, e permette di evocare – e associare – alcune riflessioni che riguardano gli stati d’animo, le passioni, gli affetti, ma anche i pensieri, alcune problematiche, i propri nodi, o ciò che non si accetta o non si è ancora – sufficientemente – elaborato. Quando si scrive, comunque, è indubbio che si è in profonda intimità con se stessi… e questo percorso, di per sé, è tanto terapeutico quanto introspettivo; è tanto funzionale quanto richiede coraggio; ed è tanto nutritivo quanto richiede il tollerare anche la sofferenza.
La bontà del lavoro condiviso ci pone di fronte ad un paesaggio che non conosciamo, a volte tortuoso, dalle diverse sfaccettature, e quindi che può essere risignificato secondo diverse prospettive. E tutto ciò prende vita nelle dinamiche anche del gruppo, quando si è posti di fronte all’ascolto del vissuto altrui che non per forza sarà analogo al proprio.
Qui il lavoro della scrittura ci permette di spogliare il nostro Io, perché mette in evidenza come la prospettiva che dev’essere assunta è quella del vissuto altrui. Dunque non si tratta solo di condividere ciò che accomuna, ma anzi si tratta di condividere una narrazione che, pur essendo lontana da ciascun’altra storia esperienziale, permette quell’evoluzione singolare che è influenzata dal rapporto con un altro soggetto.
Oggi nella società cosiddetta occidentale, forse, si esperisce una certa mancanza nello stringere impegni, nell’essere presente per un altro, nello stare ad ascoltare quell’altro che sostanzialmente ci parla: forse questa è una delle cause di un certo alone di depressione, di grigiore, di assopimento, che ha un grande rilievo alla luce di una visione precaria del futuro, soprattutto in età adolescenziale. Questo sicuramente deve far riflettere, ed è necessario tornare a pensare ad altri modi per poter riuscire a essere nel legame sociale. In questo senso la scrittura terapeutica offre quella possibilità di condivisione relazionale che permette di curarsi di tutti quei nodi che, se non presi in esame, possono costituire un possibile disagio futuro… per sé, ma anche per la società in senso più ampio.
Tutto il lavoro svolto permette quindi di riflettere sull’importanza del mettere in parole ciò che si vive, facendo cadere una certa maschera, e rendendo i soggetti maggiormente trasparenti nel guardarsi internamente… nel profondo. Attraverso ciò è dunque possibile costituire anche un proprio e personale percorso, finalizzato a posizionarsi in un certo tempo ma anche in un certo luogo… dove si segnano tracce che divengono impronte, che a loro volta posso prendere forma nelle parole utilizzate per definire qualcosa del Sé. E questo può essere terapeutico, perché si può implicare la scrittura come uno strumento per produrre quel processo d’individuazione fondamentale – e finalizzato – nello scoprire e riscoprire se stessi… trovando e ritrovando un proprio posto nel mondo.
E dunque attraverso la pratica della scrittura terapeutica, accingendosi a incidere una pagina vuota, metafora di una vita ancora scrivere, è possibile vedere con lo stomaco, ma anche sentire con lo sguardo… senza esimersi dall’incamminarsi nei confronti dell’altro con il proprio buon cuore e con l’animo: perché questo, a volte, è quello di cui abbiamo semplicemente bisogno.
…Grazie a Sonia e a tutte le persone implicate in questo lavoro. Avete lasciato in me dei vissuti molto insegnanti.