La scrittura come terapia (semplice) per il sé

Una piccola guida per scoprire la scrittura terapeutica- autobiografica ed epistolare – che arreca benefici al corpo, alla mente e alle nostre relazioni. Ci addentriamo nel tema conversando con Sonia Scarpante, fondatrice di un metodo ormai diffuso in ambiti trasversali, basato sul potere della penna.

«Niente ha un tale potere di ampliare la mente come la capacità di indagare sistematicamente e veramente tutto ciò avviene sotto i tuoi occhi nella vita», scrive l’imperatore e filosofo Marco Aurelio (121-180 d.C.) nei Colloqui con se stesso, storica raccolta delle sue memorie che invita a conoscersi meglio per vivere con equilibrio. Qualche secolo dopo, anche il filosofo Arthur Schopenhauer (1788-1860) appunta i racconti della sua vita, i pensieri, le meditazioni in L’arte di conoscere se stessi. Non è una recente sco- perta, quindi, che la scrittura delle esperienze che più hanno segnato la nostra esistenza possa trasformarsi in uno strumento per comprende- re alcune dinamiche che, solo dopo aver preso forma sulla carta, siamo in grado di riconoscere e gestire emotivamente, pronti persino ad ac- cettarle, superando alcune resistenze.

LA SCRITTURA CURA: PAROLA DELLA SCIENZA
Questo sistema la docente e counselor So- nia Scarpante (Milano, 1958) lo ha sperimentato prima su se stessa, depositando poi un metodo riconosciuto e appoggiato dai più eminenti psi- chiatri e psicoterapeuti di oggi. Ora lo insegna nei Master in Scrittura Terapeutica e tramite in- contri e workshop per far sì che sempre più per- sone ritrovino benessere grazie alla forza della penna. Per scrittura terapeutica, come spiega Scarpante nel suo saggio Pensa scrivi vivi. Il potere della scrittura tera- peutica (prefazione di Eugenio Borgna, 2022, TS Edizioni) si intende una scrittura che ha il potere catartico di sanare le ferite, di sbrogliare i «nodi», come li chiama l’autrice, proprio attraversando nuova- mente i momenti critici della vita o indirizzando lettere alle relazioni più importanti; si tratta di un atto creativo volto a mettere a fuoco un mon- do interiore che, messo nero su bianco, ci aiuta a porre maggiore distanza da quello che può averci fatto soffrire. «Il bisogno dell’uomo di nar- rarsi per comprendersi è stato comprovato già da Jerome Bruner (1915-2016), uno dei fondatori dell’attuale Psicologia Culturale, ma lo psicologo sociale James Pennebaker va oltre, mostrando con studi e dati scientifici il potere benefico che la scrittura delle proprie fragilità esercita sulla salute fisica e sulla psiche dell’individuo», ci rac- conta Scarpante. «Anche il mio metodo», conti- nua “l’architetto dell’interiorità”, così si definisce la docente laureata in Architettura al Politecnico di Milano, «dal 2016 è stato al centro di un pro- getto coordinato dalla psicoterapeuta Michela Pavanetto e dal ricercatore Marco Pagani del CNR di Roma, che ne hanno confermato l’at- tendibilità scientifica».

IN CHE MODO SCRIVERE CI RENDE MIGLIORI?
La scrittura autobiografica, pur basandosi molto sulla memoria, è una scrittura dell’evolu- zione, in quanto «la memoria ci introduce all’al- terità, e spingersi oltre significa conoscere parti nuove anche di noi, sondare il nostro scono- sciuto e non temere più la diversità, alimentare il dubbio che è pratica fondamentale della filosofia», leggiamo nel manuale della Scarpante. «È una scrittura che crea positività perché ci aiuta a distaccarci dal dolore, a elabo- rare i dispiaceri della vita, a lasciarli andare. Lo dicono anche gli psicologi che il trauma è una ferita che rimane dentro, e dargli parola ci aiuta ad accettarlo e a lasciarlo definitivamente», ci spiega la fondatrice del metodo. Il miglioramen- to di se stessi è inevitabile, avviene perché la persona «crea un nuovo senso di sé. La scrittu- ra terapeutica è performativa perché agisce su di noi, portandoci a maturare nuove scelte: più si diventa consapevoli, più aumenta la nostra autostima e ci si apre a nuove realtà», continua la docente, aggiungendo che «la maggior parte dei corsisti dopo il percorso si iscrivono a facol- tà universitarie che da tempo volevano segui- re, aprono associazioni per coronare sogni nel cassetto, estendono il progetto della scrittura terapeutica a nuovi ambiti», precisa Scarpante, che è anche Presidente de La cura di sé, asso- ciazione con la quale, con i suoi soci (tra i qua- li si annoverano psichiatri e psicoanalisti come Eugenio Borgna e Massimo Recalcati), diffonde questo sistema in Italia e nel mondo.

SCRITTURA TERAPEUTICA: A CHI SI RIVOLGE
La scrittura terapeutica non è una scrittura dove contano la forma o l’ortografia, anche se tra le testimonianze pubblicate in alcuni testi della Scarpante si trovano dei piccoli capolavori. È una scrittura delle emozioni, un flusso da asse- condare che supera le resistenze razionali e giun- ge dove non pensavamo di arrivare, ma mai su- perando il limite che non siamo pronti a valicare.
È per tutti, adolescen- ti e adulti, specialisti del settore sanitario e per chiunque desideri migliorarsi.

AMBITI DI APPLICAZIONE
La primissima strut- tura che ha accolto, una decina di anni fa, il progetto della scrittura terapeutica ideato da Scarpante, è stato lo IOV (Istituto Oncologico Veneto) di Padova, seguito dal Centro di Riferi- mento Oncologico di Aviano e dall’Ospedale di Mestre, rivolgendosi ai pazienti, alla formazione e al supporto degli operatori sanitari, che ora ne beneficiano in diverse strutture mediche dello Stivale. Le carceri di Opera, Bollate e San Vitto- re aderiscono da anni ai laboratori che aiutano i detenuti a ritrovare un nuovo senso di sé; anche dalle scuole arrivano sempre maggiori richieste, anche perché le conseguenze dell’isolamento e della pandemia hanno amplificato patologie come anoressia, bulimia, depressione. «Si tratta di uno spazio che aiuta i ragazzi ad allenare la loro educazione sentimentale ed emotiva», rac- conta Sonia Scarpante, aggiungendo che «i gio- vani di oggi, anche i meno fragili, hanno bisogno di conoscere le emozioni, di riconoscerle e rico- noscersi. La condivisione in classe, poi, insegna a stare nel gruppo, a non sentirsi soli, e anzi a rispecchiarsi nelle esperienze altrui».

COME COMINCIARE?
«Innanzitutto, ci vuole una bella dose di fidu- cia in se stessi», spiega Scarpante. Poi, impu- gnata la penna, ci sono dei temi fondamentali da affrontare, che si modificano e ampliano a seconda dell’ambito di applicazione: per inizia- re, la lettera a se stessi (sull’esempio di Marco Aurelio e Schopenhauer) è il momento cruciale per fare il punto con la propria interiorità; se- guono poi alcuni temi simbolici come la casa (quel che per noi è casa, le case in cui ab- biamo vissuto, quelle che vorremmo abita- re), il viaggio (cosa rap- presenta per noi, i viaggi che ci hanno segnato, quelli che sogniamo), la lettera allo sconosciu- to (chi è lo sconosciuto per ciascuno di noi? Lo temiamo? Ci affascina?); la selezione di tre foto- grafie che hanno segnato infanzia, adolescenza, età adulta, a cui abbinare pensieri essenziali. In- fine, alcuni temi legati alla forma epistolare che riguardano le affettività, quindi la lettera a chi ci ha dato fiducia, la lettera al fratello/sorella o a un amico, la lettera ai nonni, ai genitori, che ci portano a comprendere le nostre dinamiche relazionali, la lettera al nodo. «Il mio recente libro Scrivi vivi pensa – suggerisce la Scarpante – è un manuale che dà indicazioni per intraprende- re un viaggio su di sé assieme a dei testimoni che hanno già fatto con me questo percorso, e conduce il lettore tramite le principali tappe legate all’importanza e al valore della relazione. È per questo che, oltre a migliorare noi stessi, la scrittura terapeutica migliora le nostre relazioni con gli altri».

MEGLIO SOLI O ACCOMPAGNATI?
Pur trattandosi di un lavoro focalizzato sulla storia personale, momenti come la lettura e la condivisione delle lettere scritte dal gruppo che sceglie di essere guidato dalla Scarpante vanno a restituire ancora più forza al proprio di percor- so. Nei laboratori di scrittura terapeutica, infatti, ci si ritrova con altre persone, inizialmente a noi sconosciute, che contestualmente decidono di abbassare le resistenze, dare fiducia all’altro, con coraggio e senza pregiudizi. La condivisione crea sinergie, empatia, e accresce le capacità e la cre- scita del singolo, che si rispecchia nelle storie al- trui, arricchisce e cambia la prospettiva su se stes- so. «Ciò non significa che questo lavoro non possa essere fatto individualmente», precisa Scarpante, «ma i tempi di elaborazione, in gruppo, si accor- ciano. Mi piace citare l’espressione “comunità di destino” dello psichiatra Eugenio Borgna», conti- nua la fondatrice del metodo, «che vuole proprio sottolineare come ci troviamo tutti su un’unica strada, e non ciascuno di noi su una strada unica. L’esperienza dell’altro è la nostra».

È INDISPENSABILE UNA GUIDA?
Il coach o facilitatore (la Scarpante ha fondato il metodo, ma tramite dei Master forma dei facili- tatori che portano avanti il progetto) è utile nella misura in cui crea delle restituzioni, delle condivi- sioni. È il primo a spogliarsi davanti al gruppo o al singolo leggendo la sua lettera a se stesso, gesto volto a innescare quel clima di apertura e fiducia indispensabile per costruire ponti tra le persone.

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